RITI RELIGIOSI E CHIESE

ANTONIO ZECCHINI; ricercatore, scrittore e direttore della rivista “Comunità di Ledro”

E’ bello guardare la serie di foto che il libro dei Fotoamatori riserva al tema sulla religiosità ledrense: anche perché sono familiari, parlano di casa, di famiglia: sono foto di chiese e cappelle, di altari e di preziosi dipinti, Cristi, Madonne, preti, croci di legno, di ferro, antiche che si ergone nelle campagne, nelle località che poi saranno tappe spirituali per le processioni delle Rogazioni in primavera; croci sulle montagne per un richiamo alla bellezza del creato, alla grandezza e all’universalità della fede; la devozione religiosa semplice e sincera della nostra gente si è manifestata disseminando sul territorio all’interno degli abitati o nei dintorni dei paesi innumerevoli edicole, capitelli devozionali che abbelliscono le nostre contrade, le strade, i sentieri, i nostri boschi, eretti per domandare una grazia o per ringraziare d’averla ricevuta, o semplicemente per eternare in un manufatto o in un’immagine sacra la propria devozione o per fermarsi un momento per pregare. E le processioni, numerose e lunghe, alcune con scadenze identiche per tutte le comunità parrocchiali, altre tipiche ed esclusive per ogni paese, quelle del patrono in particolare: erano la professione anche esteriore della fede della comunità, non prive di cenni di folclore, ma molto raccolte e ricche di preghiere, d’invocazioni, di canti; chi ha una certa età ricorda bene i baldacchini, i grandi stendardi variopinti, i confratelli delle congregazioni e i componenti delle associazioni religiose con le loro divise che accompagnavano lo svolgersi di queste cerimonie.
Tutto questo per dire che la fede delle popolazioni ledrensi che ci hanno preceduto era diventata di secolo in secolo sempre più matura, fino a lasciare segni concreti della sua profonda convinzione anche in messaggi artistici che sono arrivati fino a noi.
Del resto la religione, nelle forme in cui viene interpretata e vissuta, oggi ma anche nel passato, rappresenta una componente non secondaria nella storia e nella cultura della nostra terra.
Di fronte a questo fiume di immagini che sono antichità, ricordi, bellezze, ma anche eredità di saggezza e di fede, viene spontaneo chiedersi cosa c’è dietro tutta questa presenza capillare di segni sacri tanto diffusi su tutto il territorio ledrense.
E come risposta occorre partire dall’inizio.
Data la limitatezza dello spazio concessomi per parlarne, giustificata per altro in una pubblicazione che ha come tema centrale fotografie e non testi, mi limiterò a sottolineare episodi e storie che hanno coinvolto tutta la Valle, lasciando ad altre fonti, che ci sono e sono valide, la visuale più privatistica , o, se si vuole, campanilistica dei singoli paesi.
Secondo gli storici, anche quelli nostri locali il Cristianesimo incominciò a diffondersi nella nostra terra tra il IV e il V secolo, in concomitanza con i viaggi di S. Vigilio nelle Giudicarie e sulle rive del Garda, attraverso le strade romane che esistevano da tempo e che permettevano comunicazioni tra popolazioni vicine. I sacerdoti, che erano i “missionari” di allora, diffondevano la nuova religione e, nelle valli in cui operavano, si radunavano in comunità in un luogo possibilmente centrale, la “pieve”; così nacque anche da noi la “pieve”, il luogo in cui risiedevano i sacerdoti e i primi nuclei cristiani.
E’ del 1235 il primo documento in cui si nomina un “archipresbiter” (arciprete) di S. Maria della Valle di Ledro; da quella data, un documento del 1889 conservato ad Innsbruck, elenca tutta una serie di curati, parroci e arcipreti dei vari paesi ledrensi, fino ad arrivare all’epoca del cardinal Bernardo Clesio.
Nelle relazioni delle Visite Pastorali, vera miniera di informazioni sulla storia ecclesiastica della nostra Valle, storia che poi, nei tempi andati, spesso si intrecciava con quella civile ed amministrativa, si trova la documentazione della religiosità e della fede vissute fino ai nostri giorni.
Nel 1537, nel corso della prima Visita Pastorale, indetta da Clesio, troviamo, ad esempio, l’elenco di tutte le chiese e di alcune cappelle che già da tempo esistevano in Valle e si viene a sapere che ogni paese aveva già da qualche secolo definito il proprio patrono.
(S. Giorgio a Pregasina, S. Antonio a Biacesa, S. Giacomo a Prè, S. Vigilio a Molina vicino al lago, S. Michele a Mezzolago, S. Stefano a Bezzecca sul Colle, S. Martino a Locca, S. Silvestro a Lenzumo nella località alla Sega, S. Bartolomeo a Tiarno di Sotto, S. Pietro a Tiarno di Sopra, S. Martino sul Monte Bregno. A queste chiese, se si ha la pazienza di scorrere i resoconti delle Visite Pastorali, nel corso dei secoli e fino ai nostri giorni, se ne aggiungeranno altre: S. Giovanni in Montibus, S. Antonio a Leano, la SS. Trinità a Legós, la Madonna Addolorata e San Carlo a Barcesino, S. Francesco di Paola a Molina e S. Anna a Giù; S. Giorgio, S. Angela Merici e Madonna di Fatima a Tiarno di Sotto, Tiarno di Sopra la Madonna della Croce; alcune delle prime chiese poi verranno abbandonate, distrutte (Lenzumo e Molina) e riedificate in località più accessibile, altre ancora ristrutturate ed ampliate per ottemperare ad esigenze nuove; altre, abbellite e arricchite con preziose opere d’arte donate dalla pietà dei fedeli.)
La vita religiosa dei Ledrensi antichi si svolgeva quasi esclusivamente nella Pieve; ogni paese aveva la sua chiesa o cappella e il suo curato, ma per molto tempo non avevano né diritto di tabernacolo né di fonte battesimale; le funzioni principali, l’amministrazione dei sacramenti e soprattutto l’insegnamento della dottrina (nella quarta domenica di ogni mese) erano di esclusiva competenza della chiesa madre a Pieve, alla quale a tutti i fedeli della Valle era fatto obbligo di partecipare; per chi non ottemperava alle regole unitarie, erano poi previsti richiami e anche sanzioni. Pieve paese con la sua “pieve” chiesa madre, è dunque da sempre il centro e il fulcro della religiosità ledrense, ed anche oggi è segno dell’unità e degli incontri religiosi.
Ogni paese oltre alla chiesa aveva il proprio sacerdote, curato o parroco, come del resto è stato fino a pochi decenni fa, nei tempi in cui c’era un gran numero di sacerdoti diocesani. Si pensi che nel corso di una visita pastorale del 1727 (vescovo Antonio Domenico conte di Wolchenstein) in Valle si registrarono addirittura 28 sacerdoti, alcuni in cura d’anime, altri che conducevano vita privata presso le loro famiglie.
In Valle per altro è sempre stata presente una grande sensibilità delle famiglie per le vocazioni religiose; nei secoli sacerdoti e religiosi ledrensi sono presenti a decine nel mondo ecclesiastico, anche con figure di grande rilievo all’interno della diocesi di Trento e o sparsi come missionari in vari continenti.
Nella storia ledrense c’è un momento in cui si è manifestata con grande evidenza l’unità non solo religiosa dei Ledrensi, e che ha trovato proprio nella pieve un’invidiabile comunione di intenti e di volontà per affrontare in insieme e con grande fede la minaccia che incombeva sulla Valle: fu in occasione della peste del 1630, quella descritta da Alessandro Manzoni nel suoi Promessi Sposi; il contagio si era diffusa con estrema rapidità un po’ ovunque in Alta Italia, con il suo tragico seguito di lutti e di dolori. I nostri avi, pur vivendo una situazione di isolamento geografico favorevole per le difficoltà di accesso alla Valle sia da est che da ovest, oltre a mettere in atto tutti i rimedi allora conosciuti e consigliati, probabilmente anche con controlli alle due estremità della Valle, decisero di fare qualcosa di più. Nella loro fede convinta e vissuta, i Ledrensi di allora fecero un voto solenne e comunitario: se la Valle fosse stata risparmiata dalla “funesta pestilenza”, si impegnavano prima di tutto a ristrutturare la chiesa madre di Pieve, ormai non più idonea a contenere la popolazione di tutta la Valle; inoltre promettevano che per il futuro, ogni anno avrebbero fatto una celebrazione comunitaria di ringraziamento. Per la prima parte del voto già nel 1635 erano iniziati i lavori, conclusi poi nel 1650 con la consacrazione della chiesa due anni dopo. Per la parte più spirituale del voto, clero, popolo e autorità decisero di adottare una forma di devozione che già da quasi un secolo (1556) era stata adottata nel Milanese: la Pia Pratica delle Quarant’Ore: tre giorni di preghiere e di adorazione dell’Eucaristia. Le prime Quarant’Ore ledrensi si tennero naturalmente a Pieve nel 1636, nei giorni della festa di Pentecoste; furono tre giorni intensi di preghiere e di adorazione che si conclusero con una grande processione per le vie del paese, processione che divenne poi parte integrante del voto in tutte le celebrazioni successive. Le varie comunità con i loro sacerdoti partecipavano a turno all’impegno di preghiera e di adorazione, secondo un programma ben definito; l’impegno alla partecipazione era obbligatorio non solo dal punto di vista religioso, ma anche civile.
L’appuntamento, col passare dei secoli, fu soggetto ad un progressivo scadimento dei valori originali, tanto che, per evitare incresciosi episodi di mal costume favoriti dall’afflusso di tanta gente, i tre giorni iniziali vennero dapprima ridotti a due, poi ad uno solo; infine verso la metà del 1800, la pia pratica è cessata, con l’ autorizzazione del vescovo di Trento. Il voto comunitario a Pieve da allora consiste solo nella concelebrazione della messa nel giorno di Pentecoste, senza più nemmeno la grande processione che vedeva la partecipazione di tutti i paesi della Valle. Le Quarant’Ore in compenso per alcuni decenni vennero autonomamente adottate da varie parrocchie ledrensi che le celebravano in tempi e modi diversi. Oggi solo a Molina vengono celebrate, ma spostate nei primi tre giorni della Quaresima, però con la partecipazione di numerosi gruppi della Valle e quindi con il recupero, almeno parziale, del loro carattere comunitario; da ricordare la grande “macchina delle Quarant’Ore” voluta dai fedeli e dal parroco e realizzata nel 1931 da Goffredo Moroder (Ortisei).
Un altro momento di grande partecipazione comunitaria è stato vissuto agli inizi del secolo scorso, quando tutta la Valle di Ledro fu evacuata in prossimità dello scoppio della Prima Guerra Mondiale; è l’esilio dei Ledrensi in Boemia e in Austria dai fatidici 22 – 23 e 24 maggio 1915 fino al maggio del 1919. Gli esuli furono dispersi in vari paesi delle due regioni dell’Impero Austro Ungarico; in quegli anni poterono però fruire della meravigliosa opera assistenziale dei loro curati e dei loro parroci che passarono ininterrottamente nei villaggi che ospitavano Ledrensi, per una parola di conforto, per raccogliere richieste e domande di aiuto che poi venivano inoltrate alle autorità, per tener unita la comunità anche in quella diaspora penosa, e per rafforzare la fede e le tradizioni; è rimasta famosa negli annali la foto di uno dei vari pellegrinaggio di Ledrensi al santuario di Svata Hora.
(Questi i nomi dei parroci e curati di allora: don Primo Ballardini collaboratore a Tiarno di Sotto, don Francesco Boldrini parroco di Pieve, don Giorgio Bondi curato di Prè, don Antonio Girardi curato di Lenzumo, don Mario Leonardi curato di Tiarno di Sotto, don Riccardo Marzadro curato di Locca, don Luigi Miorelli curato di Bezzecca, don Vittore Parisi curato di Tiarno di Sopra, don Lucillo Sartori collaboratore di Bezzecca, don Gerolamo Viviani curato di Molina, don Giusto Zecchini curato di Enguiso).
Un altro momento di unità visibile e concreta, sempre in ambito ecclesiale, è il periodo che va da1934 al 2001: con decreto del P.V. Celestino Endrici del 15 dicembre 1934 fu costituito il Decanato di Ledro, con sede a Pieve. Comprendeva le seguenti parrocchie, staccate per l’occasione dal Decanato di Riva: “Maria SS. Annunziata di Pieve di Ledro e le sue filiali di Bezzecca, Tiarno di Sotto, Tiarno di Sopra, Locca, Enguiso, Lenzumo, Mezzolago, Prè e Biacesa, la Parrocchia di S. Vigilio V. e M. di Molina di Ledro e la Parrocchia appena eretta di S. Giorgio M. di Pregasina”. Il Decanato di Ledro ebbe pochi anni di vita; il primo decano fu don Severino Dematté dal 1941 al 1947; poi don Lino Franceschi dal 1949 al 1959; don Saverio Cellana dal 1961 al 1986; don Gilio Pellizzari dal 1986 al 1992 e don Mario dal 1992 al 2001, anno in cui il Decanato di Ledro venne soppresso e le sue parrocchie riagganciate al Decanato di Riva.
Fu però un periodo molto intenso e proficuo per riconfermare ancora una volta l’unità della realtà ecclesiale e religiosa ledrense, nelle celebrazioni, nella pastorale e nella formazione di una mentalità non più campanilistica ma di vera unione. In questo periodo nacquero iniziative ed organismi che coinvolsero tutta la Valle in una ricchezza di partecipazione. A Decanato concluso, la nostra Valle fu una delle prime nella diocesi ad essere costituita dall’Arcivescovo monsignor Luigi Bressan come Unità Pastorale di Ledro, 6 giugno 2004, proprio per l’affinità di cultura, di storia e di sensibilità ecclesiale che contrassegnava la popolazione ledrense. Ancor oggi nella Valle vivono ed operano con entusiasmo e collaborazione alcune delle realtà nate in quel periodo: il Consiglio Pastorale di Valle, il Coro Parrocchiale di Valle, i Gruppi dei Catechisti, il Gruppo Famiglie, il Gruppo Adolescenti, il Gruppo Giovani, i Gruppi Missionari, i Gruppi di Preghiera, la Caritas, “Comunità di Ledro” bollettino delle parrocchie.
Nella pagine di questo libro c’è una foto che ha sollevato la curiosità di molti; sono alcuni chierici che, indossando la veste talare, giocano a calcio sui prati di quella che viene ancora chiamata “La Villa del Seminario Minore” a Tiarno di Sotto. Si tratta di un complesso di alcuni grandi fabbricati, nei quali c’è anche un vero gioiello d’arte, la cappella di S. Elisabetta. Il tutto era di proprietà della contessa Elisa Sartori vedova Foscolo e di monsignor Eliodoro Degara. Nel 1880 il complesso fu donato dai proprietari al Seminario Vescovile di Trento, e già nel 1884 furono iniziati i lavori per adattare i palazzi alle nuove esigenze. Così da allora e fino a qualche anno fa, nel periodo estivo ha ospitato turni di seminaristi delle Medie e del Ginnasio del Seminario Minore di Trento. Inoltre, nel corso delle Seconda Guerra Mondiale, per evitare i pericoli dei bombardamenti cui era soggetta la città di Trento, vi fu trasferita una parte di chierici e di professori della Teologia; ed ecco spiegata anche la foto di cui sopra, con un momento di relax degli occupanti la “Villa”.

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Fotografia della processione per le vie di Legòs con la Madonna di Barcesino

Fotografia di celebrazione religiosa

Cartolina di visita pastorale a Lenzumo

Fotografia di gruppo davanti all’arco del trionfo di ghiaccio durante la celebrazione del Decanato di Pieve di Ledro

Fotografia di partita di calcio “Su al Ginasio” al seminario Minore e Maggiore di Tiarno di Sotto

Fotografia di prima comunione a Mezzolago

Fotografia di prima comunione con parroco e bambini in processione a Tiarno di Sopra

Fotografia dell’insediamento di Don Vito Maganzini come parroco a Molina

Fotografia di messa a Tiarno di Sopra